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Giacomo Cuticchio, nato a Palermo nel 1982, è compositore, pianista ed erede di una delle più robuste e vitali tradizioni teatrali siciliane.
Figlio e nipote di maestri pupari, la sua formazione d’artista ha luogo tra sogni cavallereschi, senni smarriti e avventurosamente recuperati, battaglie e re di corona, passioni e paradigmi etici, nella cornice di estremo rigore e attenzione che caratterizza l’attività teatrale di famiglia.
L’inclinazione per la musica del piccolo Giacomo trovò fertilissima terra tra i suoni del pianino, che tradizionalmente scandisce e commenta le vicende dei paladini di Francia, e lo straordinario e prezioso esercizio della vocalità proprio dell’Opra e del cunto.
Il casuale incontro con la musica di Philip Glass e la sempre viva attenzione per la musica antica, rinascimentale e barocca, indicarono a un ancor giovanissimo Giacomo il sentiero a lui congeniale, ponendosi a ideali cardini di una ricerca sulle radici della musica, per tantissimi versi analoga agli sforzi del padre Mimmo di innovazione dell’Opra a partire dalla sue fondamenta.
Alieno da preoccupazioni esclusivamente linguistiche, Giacomo Cuticchio si propone di raggiungere l’immediatezza dell’emozione, cercando, su canovacci strutturali quasi archetipici, le forme più adeguate ai suoi intenti: la musica di Giacomo nasce direttamente dal cuore dei meccanismi che regolano il funzionamento delle forme.
Tanta attenzione ai principi ultimi che presiedono alla nascita della musica non può che avere, ovvio corollario, un interesse per il suono, in sé e in relazione con l’esistente, costantemente alimentato dalla viva pratica improvvisativa allo strumento.
Alla base di questo straordinario intuito di Giacomo Cuticchio per il suono e per la sua drammaturgia è possibile rintracciare, con una certa sicurezza, la prassi del cunto, di cui il padre Mimmo, già allievo del maestro puparo e cuntista Peppino Celano, è uno degli ultimi autentici eredi: come nel cunto, attraverso l’alterazione ritmica del respiro, la parola si fa canto, liberando la propria anima sonora, così, con la medesima naturalezza, nella musica di Giacomo i suoni diventano tangibile, udibile forma.
Potremmo rintracciare in ciò l’origine della evidente fascinazione del giovane Giacomo Cuticchio per il minimalismo, per questo ultimo grande “ismo” la cui attenzione al suono è ben più che mera osservazione di superficie, come qualche furbetto commentatore, povero di nuove categorie e d’inventiva, vorrebbe farci sbrigativamente credere.
E qui forse il cerchio si chiude, legando la tradizione in cui Giacomo Cuticchio è nato con le grandi esperienze della modernità musicale, lungo il crinale sottilissimo tra il respiro e la parola, tra il suono e il suono organizzato, tra un senno costantemente smarrito e ritrovato al suono di una antico pianino.
Al ritmo di un’esistenza umana ancora possibile.