Menu principale:
Selvaggia sommità di pietra spuntano nell'aria,
In forma di una mano gigantesca.
Nelle spaccature e crepacci di questa piramide
le case sono incuneate dentro.
Tenebre e terrore
covano sopra l'abisso attorno ad esso.
La più strana abitazione umana.
Edward Lear, Diario di un viaggio a piedi, 1847
È passato più di un secolo e mezzo dal tour calabrese del celebre scrittore e illustratore inglese Edward Lear, ed è ancora oggi innegabile il potere evocativo che Pentedattilo suscita nei visitatori che in crescita esponenziale privilegiano come meta del loro viaggio la maestosità dei paesaggi calabresi. Come affermava lo stesso Lear questi paesaggi "sono di grandissimo interesse pittorico e poetico… Il nome Calabria in se stesso ha non poco di poetico". Anche per questo sosteniamo con forza che oggi questi luoghi debbano essere più che mai preservati nella loro integrità paesaggistica, nella loro singolarità naturalistica e storica, attivando azioni culturali innovative atte a valorizzare la loro innata vocazione. Oggi, il borgo antico di Pentedattilo è icona turistica e culturale della Regione Calabria, e negli ultimi anni è diventato, per l’intensità delle attività di recupero e di promozione culturale, un "caso studio" che l’ha reso meta privilegiata di un diversificato flusso turistico. Il Pentedattilo Film festival contribuisce a restituire a questi luoghi il fascino della loro singolarità, promuovendo un’attiva e sostenibile riabilitazione artistica.
IL FLASHBACK STORICO
Fondato dai calcidesi nel 640 a.C., fu per tutto il periodo greco-romano un fiorente centro economico della zona; durante il dominio romano divenne inoltre un importante centro militare per la sua strategica posizione di controllo sulla fiumara Sant'Elia, via privilegiata per raggiungere l'Aspromonte.Con la dominazione bizantina iniziò un lungo periodo di declino, causato dai continui saccheggi che il paese subì prima da parte dei Saraceni ed in seguito anche da parte del Duca di Calabria.
Nel XII secolo Pentedattilo fu conquistato da Normanni e, con i paesi di Capo D'Armi, Condofuri e Montebello Ionico, fu trasformato in una baronia affidata alla famiglia Abenavoli dal re Ruggero d'Altavilla. Col passare del tempo l'egemonia feudataria degli Abenavoli si restrinse e il governo del paese passò alla nobile famiglia reggina dei Francoperta; nel 1589, a causa di debiti e questioni di illegittimità, il feudo fu confiscato a Giovanni Francoperta e venduto all'asta dal Sacro Regio Consiglio per 15.180 ducati alla famiglia degli Alberti insieme al titolo di marchesi.
La dominazione degli Alberti, nonostante i tragici eventi legati alla cosiddetta Strage degli Alberti, durò fino al 1760 quando il feudo fu venduto ai Clemente, già marchesi di San Luca, e da questi ai Ramirez nel 1823. Nel 1783 Pentedattilo fu gravemente danneggiato da un devastante terremoto, e in seguito al sisma iniziò un costante flusso migratorio verso Melito Porto Salvo che perdurò sino al periodo risorgimentale; proprio a causa dello spopolamento nel 1811 il comune fu trasferito a Melito Porto Salvo e Pentedattillo ne divenne frazione. A metà degli anni '60 il paese fu completamente abbandonato in seguito a un decreto di sgombero immediato ritenuto indispensabile ed urgente. Tale decreto ha costretto tutti gli abitanti a spostarsi a circa un chilometro a valle, costruendo nuove case e lasciando tutto quanto avevano nel borgo vecchio. Un decreto dovuto alla presunta pericolosità della rocca. Per 30 anni borgo fantasma, Pentedattilo ha attratto diversi artisti che ne hanno fatto il loro luogo ideale di ispirazione. Agli inizi degli anni ’90 Pentedattilo venne riscoperta da giovani e associazioni. Iniziò così un lento ma tenace cammino di recupero ad opera di volontari provenienti da tutta Europa. Ad oggi, è centro artistico e culturale d’eccellenza.
LA STRAGE DEGLI ALBERTI
Era la Notte di Pasqua dell’anno 1686...
Qualcuno dice che tra i ruderi del vecchio castello, la notte, si sentono ancora gli zoccoli dei cavalli che da Montebello si avvicinano silenziosi verso Pentedattilo. Qualcun altro dice che quando il vento soffia violento tra le gole della rocca si riescono ancora a sentire le urla del marchese Lorenzo Alberti. Di certo è che la storia della strage di Pentedattilo è ancora un mistero che vuole essere raccontato.
Nella seconda metà del XVII secolo il paese di Pentedattilo fu teatro di un crudele misfatto noto come Strage degli Alberti. Protagonisti di questa vicenda furono i membri di due nobili famiglie; quella degli Alberti, marchesi di Pentedattilo, e quella degli Abenavoli, baroni di Montebello Ionico ed ex feudatari di Pentedattilo.
Fra le due famiglie per lungo tempo vi era stata un'accesa rivalità per questioni relative a confini comuni; tuttavia verso il 1680 le tensioni fra le due casate sembravano andare scemando sia per pressioni del Viceré, che intendeva pacificare la zona, sia perché il capostipite della famiglia Abenavoli, il barone Bernardino, progettava di prendere in moglie Antonietta, figlia del marchese Domenico Alberti.Nel 1685 il marchese Domenico morì e gli succedette il figlio Lorenzo, che alcuni mesi dopo la morte del padre sposò Caterina Cortez, figlia del Viceré di Napoli.
In occasione di tale matrimonio da Napoli giunse in Calabria un lungo e sontuso corteo che comprendeva, oltre alla sposa, il Viceré con la moglie e il figlio Don Petrillo Cortez. Don Petrillo ebbe quindi occasione di conoscere Antonietta e, rimasto dopo le nozze con la madre a Pentedattilo, causa una sua improvvisa malattia, ebbe l'occasione di frequentarla e di innamorarsene; chiese dunque a Lorenzo di poter sposare Antonietta ed il marchese Alberti acconsentì alle nozze della sorella. La notizia del fidanzamento ufficiale fra Don Petrillo Cortez e Antonietta Alberti mandò su tutte le furie il barone Bernardino Abenavoli che, ferito nei sentimenti e nell'orgoglio, decise di vendicarsi su tutta la famiglia Alberti.
Nella notte del 16 aprile 1686 Bernardino, grazie al tradimento di Giuseppe Scrufari, servo infedele degli Alberti, si introdusse all'interno del castello di Pentedattilo con un gruppo di uomini armati. Giunto nella camera da letto di Lorenzo, lo sorprese durante il sonno sparandogli due colpi di archibugio e finendolo con 14 pugnalate. In seguito, assieme ai suoi uomini, si lanciò all'assalto delle varie stanze del castello uccidendo gran parte degli occupanti compreso Simone Alberti, fratellino di 9 anni di Lorenzo, mortalmente sbattuto contro una roccia. Da tale massacro furono risparmiati Caterina Cortez, Antonietta Alberti, la sorellina Teodora, la madre Donna Giovanna e Don Petrillo Cortez, preso in ostaggio come garazia contro eventuali ritorsioni del Viceré verso gli Abenavoli.Dopo la strage Bernardino trascinò nel suo castello a Montebello Ionico l'ostaggio Don Petrillo Cortez e l'amata Antonietta, che sposò nella chiesa dittereale di San Nicola il 19 aprile 1686.
La notizia della strage in pochi giorni giunse al Governatore di Reggio, quindi al Viceré Cortez che inviò una vera e propria spedizione militare. L'esercito, sbarcato in Calabria, attaccò il Castello degli Abenavoli, liberò il figlio del Viceré e catturò sette degli esecutori della strage (compreso lo Scrufari), le cui teste furono tagliate ed appese ai merli del castello di Pentedattilo. Il barone Abenavoli, grazie a vari espendienti e appoggi, riuscì a sfuggire alle truppe del Viceré insieme ad Antonietta e, dopo aver affidato la moglie ad un convento, scappò prima a Malta ed in seguito a Vienna dove entrò nell'esercito austriaco. Nominato capitano, fu ucciso da una palla di cannone durante una battaglia navale il 21 agosto 1692. Antonietta Alberti, il cui matrimonio con Bernardino fu annullato dalla Sacra Rota nel 1690 perché contratto per effetto di violenza, finì i suoi giorni nel convento di clausura di Reggio Calabria, consumata dal dolore e dell'angoscia di essere stata lei l'involontaria causa dell'eccidio della sua famiglia.
La storia della Strage degli Alberti nel corso dei secoli ha dato origini a varie leggende e dicerie. Una di queste afferma che un giorno l'enorme mano si abbatterà sugli uomini per punirli della loro sete di sangue. Un'altra dice che le torri in pietra che sovrastano il paese rappresentano le dita insanguinate della mano del barone Abenavoli.
Vivo in una terra di bava.
Le lumache, quando strisciano. Bava.
Aderiscono alle pietre, senza ferirsi. Bava.
Salgono su per la rocca, dentro le case, si riscaldano ai fornelli. Bava.
Conosco un pastore che mi racconta sempre di alberi che non danno più frutta, e di mandrie che vanno portate sempre più lontane.
Fra qualche giorno tornerà dal suo ennesimo viaggio, e tornando verso il paese respirerà il sapore della zuppa di sua moglie, si incanterà di fronte alle finestre incastonate alla rocca.
Gli sembrerà di essere in paradiso e avvicinandosi, gioirà di quel silenzio che è tipico di chi vive scavando nel terriccio.
Ma più si avvicinerà, più sentirà un vuoto che si apre di fronte ai suoi occhi, che invade il suo corpo.
Comincerà a intendere che quel paese, muto così non lo era mai stato. Inizierà a correre, scendendo la scarpata come folle, arriverà alle mura del castello, 300 porte spalancate, i soldati come carne da macello.
Entrerà dentro e vedrà gente per le strade, viso immobile, topi che entrano nello stomaco.
Camminerà, come sopravvissuto, cercando la sua casa. Vedrà il legno della porta divelto, darà uno sguardo dentro e, facendo scendere sul suo volto una lacrima leggera, comincerà a cantare:
"Annetta fui dalla rocca prestu chi chiovi, fui dalla rocca cu ventu ti porta, esti lu ventu chi veni i luntanu,fanni curuna e sciatu di sciuri."
Il tempo che passa. Bava.
L’amore forte come la morte, e la passione come l’inferno. Bava.
Fantasmi persi fra le dita della rocca. Bava.
Noi, bava, che in questa terra saremo sempre eterni viandanti.
La Tragedia degli Alberti, dite il suo nome, da uno spettacolo di Officine Arti